l’eroe eponimo

copsmemorato

A rendere clamoroso il caso dello smemorato di Collegno contribuirono sia la stampa sia l’opinione pubblica. Una vicenda privata si trasformò rapidamente in un fenomeno collettivo che vide coinvolte aree sempre più ampie della società, della politica e delle istituzioni. La storia fu subito costruita in funzione di miti e modelli culturali profondamente radicati nell’immaginario popolare: dal topos degli sposi perduti e ritrovati a quello dell’impostura e dello scambio di persona. I precedenti storici e letterari furono evocati con precisione: dall’Ulisse di Omero a Martin Guerre, al colonnello Chabert di Balzac. il caso ispirò romanzieri, poeti e drammaturghi, tra cui Pirandello e un inedito Eduardo De Filippo. Ai richiami letterari si saldarono questioni allora di scottante attualità, come il dramma dei dispersi della Grande Guerra. Che cosa definiva l’identità di un individuo? Poteva essere dimostrata attraverso prove scientifiche? Era invariabile nel tempo oppure poteva essere costruita ad arte o scambiata? Ma la vicenda si rivela ancora oggi un campo d’indagine straordinariamente utile per comprendere le suggestioni sociali, cronachistiche e letterarie che contribuivano a formare l’opinione pubblica nell’Italia del fascismo al potere. Ma anche un punto d’osservazione sui confini che dividevano la sfera pubblica dalla vita privata nei primi anni di un regime impegnato a ridefinire l’identità nazionale degli italiani.

Recensione de L'indice

Chi era lo smemorato di Collegno? Mario Bruneri, torinese, nato nel 1886, ex tipografo, latitante dal 1922, inseguito da tre ordini di cattura, con moglie, un figlio e un’amante chiamata Milly? O Giulio Canella, veronese, nato nel 1882, professore emerito di filosofia, uomo austero, cattolico, appartenente a una famiglia facoltosa e influente e disperso in guerra sul fronte macedone nel 1916? Lo smemorato scelse Canella e la moglie del professore lo riconobbe. I magistrati, dopo un lungo e travagliato processo, giunsero alla conclusione che lo smemorato era e restava solo il tipografo truffatore.
In realtà, fin dall’inizio la vicenda era sembrata in qualche modo “pirandelliana”. Quando, nel febbraio 1930, andò in scena a Milano Come tu mi vuoi, con Marta Abba nella parte dell’Ignota, spettatori e critici colsero subito l’analogia tra l’affare e il nuovo dramma di Pirandello. Del resto una vistosa traccia dello “smemorato” era già apparsa nel luglio 1927, quando a Napoli, al Teatro dei Fiorentini, aveva debuttato con grande successo uno spettacolo della compagnia Galdieri – De Filippo, diretta dal giovane Eduardo. Alcuni decenni dopo, Lo smemorato di Collegno sarebbe diventato il titolo di un celebre film di Corbucci, con Totò nella parte di Bruneri-Canella.
L’istantanea fortuna letteraria, teatrale e cinematografica può forse spiegare il ritardo con cui la storiografia ha affrontato un episodio così importante, nella storia della cultura italiana, come quello dello “smemorato”. Il primo merito del libro di Lisa Roscioni è dunque di carattere storiografico e metodologico. Forte di uno stile narrativo avvincente, l’autrice è riuscita infatti a mantenere il fascino e l’ambiguità del “caso” pur senza rinunciare a una precisa e approfondita documentazione archivistica. Non pochi sono i documenti originali e inediti che costituiscono, insieme alle cronache giornalistiche, l’intelaiatura del saggio: innanzitutto la cartella clinica del “ricoverato n. 44170”, conservata presso l’Archivio storico del manicomio di Collegno, ma anche il fondo della Direzione generale di Pubblica sicurezza, divisione Polizia politica, dell’Archivio centrale dello Stato, e in particolare un dossier contenente decine di informative dei fiduciari della polizia politica che raccolsero negli ambienti più disparati – dal Vaticano ai corridoi dei tribunali, dalle osterie alle redazioni dei giornali – voci, dicerie e commenti circolanti sull’affare.
Non stupisce, dunque, che dalla ricostruzione di Roscioni emerga chiaramente un’interpretazione della vicenda dello “smemorato” ben più complessa e sfumata di quella fornita, più di vent’anni fa, da Leonardo Sciascia. Nel suo Il teatro della memoria (Einaudi, 1981, riedito nel 2004 da Adelphi), lo scrittore siciliano suggerì come una questione apparentemente innocua dal punto di vista politico, quale quella di Collegno, potesse essere utile al regime fascista per “distrarre” l’opinione pubblica italiana dalla violenta operazione di liquidazione di ogni opposizione e di consolidamento della dittatura in atto in quel momento. In realtà, il caso Bruneri-Canella fu tutt’altro che inoffensivo dal punto di vista politico. Uno dei personaggi più in vista del fascismo, Roberto Farinacci, ben noto per il suo anticlericalismo, fu infatti chiamato dalla famiglia Canella a difendere lo smemorato. Inoltre, nell’affare erano coinvolte due personalità di primo piano del mondo cattolico italiano, padre Agostino Gemelli e Giuseppe Dalla Torre, direttore dell’”Osservatore Romano”. Antichi amici entrambi del professor Canella, non lo avevano però riconosciuto nello smemorato e, secondo alcune dicerie cospirazioniste, manovravano, a difesa di pretesi interessi economici, intorno a non ben identificate congregazioni religiose. In quest’ottica, il caso dello “smemorato” diviene pertanto un tassello importante dello scontro tra chiesa e regime fascista. Sono questi gli anni del contrasto fra organizzazioni giovanili cattoliche e movimenti giovanili fascisti, che culmineranno, di lì a poco, il 30 maggio 1931, nello scioglimento forzato dell’Azione cattolica. E Dalla Torre, bersaglio dei “canelliani”, prenderà esplicitamente posizione in difesa dell’autonomia e del diritto all’esistenza dell’Azione cattolica. L’intervento del segretario di stato cardinale Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, per imporre a Gemelli e Dalla Torre un silenzio “diplomatico” sull’affare dello smemorato, basta a dimostrare come a Collegno si stesse giocando una partita politicamente scottante.
Ma non sono soltanto i “retroscena vaticaneschi” a disegnare la portata nazionale del caso Bruneri-Canella. Al momento della chiusura dell’iter giudiziario, nel 1931, il regime fascista e la stampa cattolica si trovarono infatti nuovamente fianco a fianco. E la ragione è facilmente intuibile: la Cassazione aveva ormai emesso il suo verdetto e tutto quel parlare di una coppia irregolare con figli dall’incerto stato civile non poteva che nuocere al modello familiare e sessuale che il regime voleva propagandare. La questione morale, che aveva provocato all’inizio della storia la reazione della stampa cattolica, era ormai per il fascismo all’ordine del giorno, all’interno di una più generale strategia di controllo sociale e di ricerca del consenso. Ed è proprio in questo momento, infatti, che l’Ufficio stampa del governo, e cioè il principale organo di censura, fa circolare la prima velina sul caso di Collegno: “È stato raccomandato ai giornali di smettere di occuparsi di Bruneri”, recita secco l’ordine.
Vi è del resto, nella conclusione del caso Bruneri-Canella, una terza dimensione che ne rivela la profonda connessione con la cultura e l’immaginario fascisti. Per iniziare una nuova esistenza – afferma Roscioni – lo smemorato aveva scelto un “involucro” particolarmente tradizionale. Padre di famiglia, fervente cattolico ed eroe della Grande guerra: così veniva rappresentato sui giornali Giulio Canella e così lo smemorato voleva essere. In tal senso il suo gesto era in sintonia con le profonde e contraddittorie trasformazioni sociali in atto: da un parte, tentava audacemente la scalata sociale, come molti della sua generazione avevano fatto e facevano anche attraverso il fascismo; dall’altra, però, era al modello familiare e sociale più tradizionale che si aggrappava, quello stesso modello a cui il fascismo puntava per costruire il consenso e soffocare le tensioni sociali acuite dalla grave crisi economica. Tuttavia, per essere vincente, il tentativo dello smemorato doveva essere necessariamente “moderno”, ovvero aveva bisogno dell’approvazione pubblica e dell’attenzione continua dei giornali. Lo smemorato chiedeva di essere pubblicamente riconosciuto per poter esistere, rivendicando, all’interno di una cornice di valori tradizionale, un “io spirituale” assoluto e autentico, superiore all’”io materiale”.
È dunque in questa sorta di “modernismo reazionario” che il caso Bruneri-Canella affonda profondamente le sue radici nell’ideologia e nella cultura del fascismo. E sarà questo continuo oscillare fra tradizione e modernità a garantirne la sopravvivenza nel secondo dopoguerra. Soltanto allora, paradossalmente, lo smemorato raggiungerà il suo obiettivo: quello di apparire periodicamente su quotidiani e settimanali, come l’eroe di un feuilleton che continuamente rinasce nell’immaginazione di chi narra la sua epopea.

Francesco Cassata

***

Memoriale dal Brasile: lo “Smemorato di Collegno” scrive a padre Gemelli

La vicenda dello “Smemorato di Collegno”, nota anche come il “caso Bruneri-Canella”, è un famoso caso di cronaca dell’Italia di epoca fascista. Iniziato nella Torino del 1926, ha appassionato gli italiani per oltre un decennio, venendo ad intrecciare aspetti legali, psichiatrici, politici, morali e mediatici.
Il protagonista, lo “Smemorato”, è un uomo internato dal marzo 1926 per amnesia e minacciato suicidio nel Manicomio di Collegno, vicino a Torino, con il numero di matricola 44170. Grazie ad un annuncio apparso sulla Domenica del Corriere nel febbraio 1927 viene identificato da due famiglie differenti. La sua identità diventa oggetto di una contesa e di un procedimento giudiziario che prosegue, tra alterne vicende e attraverso cinque gradi di giudizio, fino al 1933 (anno della sua definitiva scarcerazione) ed oltre, fino alla morte avvenuta in Brasile nel 1941.
Due sono le identità, al centro della controversia, attribuite allo “Smemorato”:
Il professor Giulio Canella, nato a Padova nel 1881 e residente a Verona, studioso, docente di filosofia, dato per disperso in Macedonia con il grado di capitano durante la prima guerra mondiale. Canella era sposato con la propria cugina, Giulia Concetta Canella, figlia di un ricco proprietario terriero con grossi interessi economici in Brasile, dalla quale aveva avuto due figli, Rita e Giuseppe.
L’ex-tipografo anarchico Mario Bruneri, nato a Torino nel 1886. Al momento del ricovero in manicomio dello “Smemorato”, Bruneri viveva senza fissa dimora ed era ricercato dal 1922 per alcune precedenti condanne per truffa e lesioni. Sposato con Rosa Negro, aveva anch’egli un figlio di nome Giuseppe, ma aveva abbandonato entrambi da diversi anni per condurre la sua vita di espedienti.
Centrali nella controversia sono i ruoli delle due mogli, Rosa Negro e Giulia Canella. Soprattutto quest’ultima, dichiarando di riconoscere nello “Smemorato” suo marito Giulio Canella nonostante l’accumularsi di prove contrarie e convivendo con lui more uxorio nei momenti di pausa tra una carcerazione e l’altra (la coppia avrà anche tre figli, la cui attribuzione di paternità costituirà un caso nel caso), risulta essere una figura tanto cruciale quando controversa dal punto di vista psichico.
L’intricata vicenda umana e giudiziaria è stata al centro dell’interesse dei giornali per anni, così come non sono mancate le ricostruzioni più o meno complete e storicamente documentate. Sebbene la maggior parte di esse siano state date alla stampa negli anni in cui il caso passava da un tribunale all’altro, anche dopo l’esilio volontario in Brasile della famiglia Canella e dopo la morte dello “Smemorato” si sono verificati periodici ritorni di interesse per la sua storia.
I medesimi protagonisti hanno contribuito a questa copiosa produzione, con l’intento di avvalorare la loro tesi giudiziaria e, di conseguenza, di legittimare l’identificazione dello “Smemorato” ora in Giulio Canella ed ora in Mario Bruneri [Canella F. 1927; Canella G. 1930; Bruneri 1931; Canella F. 1938]. Lo stesso dicesi per alcune trattazioni preudo-scientifiche dalla natura quantomeno bizzarra [De Martini 1929; Johnson Da Fidenza 1932].
Il caso ha segnato una svolta anche per il mondo giuridico: proprio a partire da questa vicenda il peso della scienza all’interno dei tribunali italiani è divenuto sempre più rilevante. Lo “Smemorato”, durante le varie fasi del suo internamento in manicomio e degli accertamenti di polizia, è stato infatti sottoposto alle più svariate indagini scientifiche, volte ad accertare la sua vera identità (perizie dattiloscopiche, somatiche, calligrafiche, otoiatriche, fotografiche, ematiche sul gruppo sanguineo, culturali sugli studi classici e musicali, oltre alle perizie psichiatriche). Si è trattato di una delle prime volte in cui la prova scientifica delle impronte digitali ha acquisito rilevanza incontestabile.
Le perizie psichiatriche, supportate dai test psico-diagnostici più vari [si veda al riguardo Ponzo 1923], sono state largamente utilizzate da ambo le parti in causa, venendo poi debitamente pubblicate negli anni successivi dagli illustri psichiatri che le avevano firmate e che si erano contesi la scena “mediatica” nel loro suffragare la tesi bruneriana (Alfredo Coppola) o la tesi canelliana (Giovanni Mingazzini, Giacomo Perrando, Rinaldo Pellegrini e Giuseppe Calligaris) [si vedano al riguardo Calligaris 1929; Perrando e Pellegrini 1929; Mingazzini 1930; Coppola 1931].
Al centro del dibattito scientifico si poneva la questione dei disturbi della memoria, che nella visione classica della psichiatria potevano essere il segno di una vera e propria scissione dell’unità psichica dell’individuo. Gli scienziati che si sono occupati del caso hanno però sempre concordato nel respingere l’ipotesi di una patologia legata alla scissione dell’Io, concentrandosi invece su una diagnosi di simulazione dolosa (tesi pro-Bruneri) o di “isteria crepuscolare accentuata da amnesia traumatica” (tesi pro-Canella).
Si può quindi dire che il caso Bruneri-Canella è stato un punto di svolta per il giovane mondo della psicologia in Italia. Alcuni studiosi, tra i quali Stefano Zago [2004] e Lisa Roscioni [2007], hanno sottolineato l’importanza di questo caso per la nascita di importanti teorie, in particolare riguardo alle strategie di valutazione cognitiva sviluppate da Alfredo Coppola, che sono tuttora considerate valide [Bruglia 1927; Ferrari 1927; Coppola 1928a, 1928b; Musatti 1931].
Al fondo dell’intrico psichico troneggiava la questione, antica eppure modernissima, dell’identità. Lo “Smemorato” affermava una sua identità, quella del professor Giulio Canella, supportato in questo del cruciale riconoscimento della di lui moglie Giulia, ma richiedeva anche un impossibile riconoscimento pubblico, che la giustizia e buona parte della società civile gli negavano. Il ricoverato numero 44170 del Manicomio di Collegno “si aggrappava forse al passato di un altro per costruirsi un nuovo futuro […]. Il legame tra i due si fondava quindi sul filo di un duplice desiderio, quello di Giulia Canella di ritrovare il marito e di risolvere così un lutto inconsolabile e quello dello Smemorato di attribuirsi una nuova identità” [Roscioni 2007, p. XIX].
Tra i numerosi amici e conoscenti del capitano Canella chiamati dalla famiglia a riconoscerlo nell’uomo di Collegno, compare anche padre Agostino Gemelli. Questi aveva conosciuto Canella a Milano nel 1907 ed insieme avevano fondato la Rivista di filosofia neoscolastica nel 1909. La comune avventura editoriale era durata poco più di un anno, dopo di che Canella era stato di fatto estromesso dalla direzione della rivista. Padre Gemelli aveva incontrato lo “Smemorato” presso il Manicomio di Collegno l’8 aprile 1927 e dopo un breve colloquio con il ricoverato aveva fatto mettere a verbale di non riconoscere in quell’uomo il professor Giulio Canella.
La descrizione dell’episodio che avrebbe portato alla rottura tra Canella e padre Gemelli viene resa pubblica una prima volta attraverso il memoriale che Francesco Canella (suocero di Giulio) fa pervenire all’autorità giudiziaria nel 1927. In questo modo la famiglia insinua apertamente il movente del passato rancore personale nel mancato riconoscimento da parte del francescano. Dal canto suo padre Gemelli dichiara in più occasioni che il suo interessamento alla vicenda è da imputare unicamente ai risvolti morali che il caso sottende: se lo “Smemorato” non è il professor Canella, Giulia accoglie nel suo talamo un estraneo, per di più marito di un’altra donna, e gli dà anche dei figli dalla paternità incerta. Alfiere della questione morale sarà, almeno nelle prime fasi processuali, anche il conte Giuseppe Della Torre di Padova, direttore in quegli anni dell’Osservatore Romano [a proposito del dissidio pluriennale tra Gemelli e la famiglia Canella si rimanda a Cosmacini 1985 e Bocci 2003].
Alla conclusione dei cinque processi, lo “Smemorato” viene identificato dallo Stato italiano nel latitante Mario Bruneri e come tale sconterà anche un anno e mezzo di carcere per alcune condanne pendenti. Con il trasferimento dell’intera famiglia in Brasile, nell’ottobre del 1933, l’interesse del pubblico verso il caso sembra calmarsi. Tuttavia i Canella, al di qua e al di là dell’oceano, proseguono la loro lotta verso chi ritengono averli rovinati, padre Gemelli in primis.
Il pretesto per proseguire con le loro rivendicazioni arriva assieme alla pubblicazione da parte di quest’ultimo di un ricordo del professor Giulio Canella “caduto eroicamente per la Patria in terra straniera durante la grande guerra” [Gemelli 1934, p. 5], scritto in occasione dei 25 anni dalla fondazione della Rivista di filosofia neoscolastica. Il riferimento alla scomparsa del professore implica necessariamente che lo “Smemorato”, esule in Brasile, non possa essere il Canella. I fratelli rimasti in Italia leggono l’articolo e ne mandano una copia in Brasile. Gemelli, ironico, sfida lo “Smemorato” a rievocare fatti noti unicamente a lui, a Canella e al defunto Tito Dini circa la fondazione della rivista. La risposta è contenuta in un plico indirizzato a padre Gemelli e conservato tra le sue carte presso l’Archivio Storico dell’Università Cattolica di Milano [Fondo Miscellanea, cart. 43, sottofasc. 347], solo parzialmente trascritto in Parisi [1946] e in Roscioni [2007].
Il plico contiene i seguenti documenti:
1) Lettera di Cesare Canella a padre Agostino Gemelli (Padova, 24 giugno 1935), dattiloscritta, inoltra al padre la lettera e la lettera aperta firmate Giulio Canella.
2) Lettera aperta di Giulio Canella a padre Agostino Gemelli (Rio de Janeiro, marzo 1935), consta di 14 pagine dattiloscritte, con poche correzioni manoscritte, controfirmate a margine una per una a nome Giulio Canella. Lo scopo dichiarato è quello di dimostrare la sua presenza in vita e di raccontare pubblicamente la natura del grave dissidio insorto 25 anni prima tra lui e padre Gemelli, circa la Rivista di filosofia neoscolastica: gravi lacune sotto il profilo filosofico dimostrate da Gemelli oltre alle sue velleità accentratrici ed egemoniche.
3) Lettera di Giulio Canella a padre Agostino Gemelli (Rio de Janeiro, 27 maggio 1935), manoscritta, chiarisce la natura della lettera aperta acclusa al plico.
4) Biglietto di padre Agostino Gemelli a destinatario sconosciuto (s.d.), dattiloscritto su carta intestata dell’Università Cattolica di Milano.

Ilaria Montanari e Chiara Incorpora
05/10/2010

Bibliografia

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Bocci M. (2003), Agostino Gemelli rettore e francescano. Chiesa, regime, democrazia, Morcelliana, Brescia.
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Calligaris G. (1929), Perizia sullo sconosciuto di Collegno, Tipografia del Seminario, Padova.
Canella F. (1927), Memoriale della famiglia Canella, Tipografia Baravalle e Falconieri, Torino.
Canella F. (1938), Lettera aperta al signor Ugo Sorrentino della scuola scientifica di polizia di Roma su la tragica beffa di Collegno, Graphica Sauer, Rio de Janeiro.
Canella G. (1930), Alla ricerca di me stesso. Autodifesa, Cabianca, Verona.
Cavari G. (1927), Il mistero di Collegno ovvero Colui che ha smarrito se stesso (il più grande mistero del secolo). Romanzo corredato di documenti, fotografie, lettere, diari, etc., La Madonnina, Milano.
Coppola A. (1928a), La psichiatria italiana di fronte allo «sconosciuto» di Collegno: contributo allo studio della simulazione di psicopatie (note di psichiatria forense), Arti Grafiche San Bernardino, Siena.
Coppola A. (1928b), “L’«Afasia» nei poliglotti e la simulazione nello «Sconosciuto» di Collegno (Risposta al Prof. Mingazzini)”, Rivista di Patologia nervosa e mentale, 33(2), pp. 359-393.
Coppola A. (1931), Il caso Bruneri-Canella all’esame neuropsichiatrico. Studio psico-biografico e medico-legale sullo “Sconosciuto di Collegno”, Tipografia San Bernardino, Siena.
Cosmacini G. (1985), Gemelli. Il Macchiavelli di Dio, Rizzoli, Milano.
Ferrari G.C. (1927), “«Coscienza» e «subcoscienza» nel «caso Bruneri»”, Rivista di Psicologia, 23(1), pp. 36-45.
De Martini E. (1929), L’ultima parola intorno al mistero Canella-Bruneri. Identificazione dello sconosciuto di Collegno quale Prof. Giulio Canella per mezzo della legge dell’ereditarietà astrale, Rocco, Napoli.
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Gemelli A. (1934), “Compiti e missioni della Neoscolastica italiana dopo venticinque anni di lavoro”, Indirizzi e conquiste della filosofia neoscolastica italiana, suppl. spec. della Rivista di Filosofia Neoscolastica, agosto.
Johnson Da Fidenza M.A. (1932), Chirologia Scienza delle linee della mano. Con un’appendice di chiromanzia e uno studio sul «caso di Collegno», Hoepli, Milano.
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Musatti C. (1931), Elementi di psicologia della testimonianza, CEDAM, Padova.
Parisi G. (1946), Giulio e Giulia Canella nel fosco dramma giudiziario dello «Sconosciuto di Collegno», Bettinelli, Verona.
Perrando G.G., Pellegrini R. (1929), Osservazioni medico-legali circa la presunta identità dello «Sconosciuto di Collegno» col tipografo Mario Bruneri, Tipografia del Seminario, Padova.
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Roscioni L. (2007), Lo smemorato di Collegno. Storia italiana di un’identità contesa, Einaudi, Torino.
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Zago S., Sartori G., Scarlato G. (2004), “Malingering and retrograde amnesia: The historic case of the Collegno amnesic”, Cortex, 40, pp. 519-532.

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2 risposte a “l’eroe eponimo”

  1. Buongiorno, mi chiamo Nicola Ruffo, di Verona. Sto conducendo delle ricerche storiche sui casi di reduci smemorati che tornano dal fronte. Partendo dallo scontato caso Bruneri-Canella, che riguarda anche la mia città, sono capitato in questo sito. Ho letto l’interessante articolo e l’ho trovato molto curato, di spessore, colto e intelligente. Le chiedo se è a conoscenza di episodi simili, o anche di casi di millantatori, nei due dopoguerra. Sa indicarmi una bibliografia al riguardo?
    Cordiali saluti
    Nicola Ruffo

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