I vaticanisti più esperti sostengono che la Curia, e i suoi membri italiani in particolare, vogliono affrettare il voto perché questo favorirebbe un loro candidato. Così si spiega anche l’interpretazione delle regole secondo cui si può votare la data d’inizio del Conclave anche se non tutti gli elettori sono a Roma. I cardinali stranieri, invece, vogliono più tempo per capire, conoscere i risvolti dell’inchiesta su «Vatileaks» e magari costruire il consenso su uno di loro eleggendo un pastore a sorpresa.
La questione si chiarisce con le parole di O’Malley: «E’ vero, esistono due scuole di pensiero. La prima sostiene che siccome i problemi attuali della Chiesa nascono dalla Curia, dobbiamo puntare su un leader esterno; la seconda, invece, risponde che bisogna cercarlo dentro la Curia, proprio perché il primo compito del nuovo papa sarà riformarla». Il frate di Boston è in cima ai desideri della prima scuola di pensiero, anche perché è stato molto efficace nella riforma dell’arcidiocesi al centro dello scandalo pedofilia negli Stati Uniti. Lui, però, si schernisce: «Sono quarant’anni che indosso questa uniforme da cappuccino, e penso di continuare a farlo fino alla fine». Suggerisce di guardare vicino, però: «L’America Latina ha una Chiesa molto vitale. Avrà un forte peso».
Comunque «Ci sono ancora troppe questioni da discutere e molte persone da conoscere. E’ presto per entrare in Conclave: è vero che per Pasqua vorremmo essere nelle nostre diocesi, ma stiamo facendo una scelta storica e dobbiamo prenderci tutto il tempo necessario».
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Oggi i cardinali saranno impegnati nelle riunioni di pre-Conclave con un doppio appuntamento. Tre ore stamattina e altre due ore di incontri e confronti nel pomeriggio dalle 17. A piedi sono entrati i cardinali Severino Poletto, arcivescovo emerito di Torino, e Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli che alla domanda dei cronisti sulla data del Conclave ha risposto:”Staremo a vedere”. La maggior parte dei cardinali sono entrati in macchina tra questi Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano.
Dopo quattro giorni di discussioni e sei congregazioni generali, in aula ma ancor di più nei colloqui a tu per tu che avvengono lontano da occhi indiscreti sembrano delinearsi meglio i gruppi e i «papabili» più forti. Tra questi è in crescita il nome dell’arcivescovo di Milano Angelo Scola.
«La volta scorsa c’era una figura di spessore, molto superiore di tre o quattro volte al resto dei cardinali. Era un teologo unico. E stiamo parlando di Joseph Ratzinger. Ora non è così. Quindi la scelta deve essere realizzata su uno, due, tre quattro… dodici candidati. Finora non sappiamo proprio nulla, dovremo aspettare almeno i risultati del primo turno».
Queste le parole pronunciate ieri dall’arcivescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin.
I conciliaboli in extremis parlano spagnolo. Dietro le quinte c’è un luogo (e un ruolo) poco considerato ma influente nelle ultime ore prima del conclave. È la basilica romana di Santa Maria Maggiore, sull’Esquilino, di cui è arciprete il cardinale elettore (spagnolo e curiale) Santos Abril y Castelló.
Davanti a un piatto di pasta al sugo o a un digestivo si potrebbe decidere chi si affaccerà vestito di bianco dal balcone di San Pietro. Nelle stanze, niente tv, telefoni fissi, cellulari. Dopo i primi scrutini senza esito, la “pausa-pranzo” e la cena dei conclavisti alla Casa Santa Marta diventano le occasioni per concordare informalmente l’uscita di scena dei candidati con minori consensi, a tutto vantaggio dei papabili che finora hanno ottenuto più voti (Scola, Bergoglio, Ouellet).
È timido, è semplice, è piemontese, anche se parla come Maradona. Chissà se gli basterà essersi chiamato Francesco per seppellire la pompa della Chiesa e la società dei consumi, entrambe degenerate a livelli insostenibili. Di sicuro uno che al suo primo affaccio dal balcone si mette in ginocchio e riesce a fare tacere per quasi mezzo minuto la folla di Roma può essere capace di qualsiasi impresa. Mezzo minuto di silenzio, cioè di spiritualità, qualcosa di molto più ampio della religiosità. Le parole trasmettono emozioni e pensieri. Il silenzio, sentimenti. Erano anni che lo aspettavamo. Anni orribili di applausi ai funerali e di minuti di silenzio inquinati da coretti da stadio non solo negli stadi. Questo terrore di entrare in contatto con se stessi, contrabbandato per empatia ed espansività. Questo bisogno di buttare sempre tutto fuori, per paura di sentire che cosa c’è dentro, fra la pancia e la testa. Il cuore.
Il gesuita Francesco ha mandato nel mondo il suono dimenticato del silenzio. Per trentadue secondi: in televisione un’eternità. Sarebbe bastato che dalla piazza partisse un «viva» o un «daje» per rovinare tutto. E invece una Roma improvvisamente e miracolosamente afona non gli ha sporcato il primo e fondamentale discorso a bocca chiusa. Ora il suo cammino può cominciare, nonostante le difficoltà del caso. Lui è abituato a girare in metropolitana, ma muoversi coi mezzi a Roma risulta piuttosto complicato. Le strade sono piene di buche, in Curia anche di burroni.